
Lopez Lomong, profugo sudanese, sarà il portabandiera statunitense alle Olimpiadi di Pechino. Secondo molti, è un modo per gli Stati Uniti di far valere la propria posizione sui diritti umani in Cina. La domanda sorge spontanea (Lubrano docet): può un paese che continua a tenere aperta Guantanamo insegnare come ci si comporta sull'argomento sopraindicato? Secondo me no.
Confesso che fino a qualche tempo fa ero favorevole al boicottaggio totale. Ho avuto la fortuna di intervistare alcuni possibili protagonisti dell'evento a cinque cerchi e mi sono ricreduto, in fondo far allenare migliaia di atleti per quattro anni e poi ritirargli il biglietto aereo per malefatte altrui non è giusto. Però una disertatina alla cerimonia d'apertura si poteva fare, anche solo un braccialetto da portare al polso non è un'idea malvagia. Diciamo che a frittata fatta diventa difficile trovare metodi di protesta adeguati.
Però ce la si può prendere con il cuoco, in questo caso il CIO, che ha bissato lo scandalo dell'assegnazione ad Atlanta '96 (erano le Olimpiadi del centenario, non consegnarle ad Atene perché la Coca Cola voleva la manifestazione vicino a casa propria ha fatto sì che ne venisse fuori un evento orrendo e mal organizzato). Dopo aver creduto alle balle del governo cinese, secondo la logica per cui "voi ci date le Olimpiadi, noi cresciamo sulla strada dei diritti umani", tutti i dirigenti che hanno votato per Pechino andrebbero radiati dal Comitato Olimpico, Rogge in testa. Solo allora il CIO potrà richiedere la credibilità necessaria per guidare lo sport a livello internazionale. Sensibilizzare il mondo sulla condizione della persona in Cina, se poi si tagliano i ponti all'informazione i governanti si comportano allo stesso modo, serve a poco. Tra qualche mese, a Olimpiadi concluse, gli occhi si volteranno da un'altra parte, ma intanto i cinesi avranno già ottenuto quello che volevano.
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