Mind in progress

Ho dormito molto poco stanotte. La sete mi ha destato nel mezzo delle ore piccole, costringendomi ad alzarmi per raggiungere la bottiglia d'acqua in cucina. Avendo esagerato con le dosi, ho espulso quanto inalato in men che non si dica, sudando copiosamente. E pensare che avevo anche la Lega Calcio in mattinata... Non sono più riuscito ad addormentarmi, travolto dai miei pensieri. Non solo negativi, per fortuna. Come per tutti i pazzi che si rispettino, le idee mi fluttuano in testa nei momenti più disparati. A me è successo di primissimo mattino, verso le sei. Tutto sta a vedere se il progetto resisterà alla corrosione del tempo. Ai posteri l'ardua sentenza...

About a girl

Cosa c'è da salvare di questo viaggio? Ciò che salverei di qualsiasi altro: lo splendore. Dei luoghi, delle vicende talvolta, delle donne. Il treno del ritorno ne offre un saggio: nello scomparto 1 dell'ottava carrozza, dove il biglietto mi ha destinato, trovo una giovane donna con gli stivali colorati, i capelli dal taglio lungo e uno scialle nero a coprire parzialmente il viola della maglietta. E' sveglia, mi aiuta nella ricerca di una presa di corrente, sottolineandone la totale mancanza. Sorride pochi minuti dopo, quando il mio cellulare va a un passo dallo schiantarsi al suolo. Con il passare delle stazioni prendiamo sonno entrambi. Riapriamo gli occhi che siamo quasi a Tortona, quando il conducente annuncia l'imminenza della fermata. Continuo il viaggio senza dormire e così passo la restante mezz'ora a contemplarla mentre abbassa le palpebre. Il broncio pronunciato le conferisce un'aura di maturità, mentre un ciuffo ne divide a metà la dolcezza dei lineamenti. Le punte dei capelli si sparpagliano attorno al collo e gli zigomi si distendono. Ha un aspetto di imbarazzante bellezza, anche nei difetti che mostra girando la testa sul lato opposto. Il taglio preciso, di recente fattura, le scopre l'orecchio dal quale sbuca un piccolo brillantino appoggiato sul lobo. Luccica come il suo viso. Arrivo a Milano quasi per inerzia. E' incredibile quanto una donna possa non farti percepire il tempo. Mentre la città si difende dal buio grazie alla luce artificiale, io, amante del naturale, frantumo i vuoti cromatici del nero con la lucentezza delle sue espressioni. Si sveglia, mi lancia un'occhiata. Infila il giubbotto di pelle e raccoglie i capelli in una minuscola coda, poi scompare in mezzo al marasma della Stazione Centrale. Addio. Fa buon viaggio nei tuoi giorni futuri.

Petali

"Era una di quelle giornate in cui tra un minuto nevica e c'è elettricità nell'aria, puoi quasi sentirla. E questa busta era lì, danzava con me come una bambina che mi supplicasse di giocare. Per 15 minuti. È stato il giorno in cui ho capito che c'era tutta un'intera vita dietro ogni cosa e una incredibile forza benevola che voleva sapessi che non c'era motivo di avere paura, mai. Vederla sul video è povera cosa lo so, ma mi aiuta a ricordare. Ho bisogno di ricordare. A volte c'è così tanta bellezza nel mondo, che non riesco ad accettarla. Il mio cuore sta per franare...".

Is there anybody out there?

Mi sto facendo le stesse domande che formulai a me stesso qualche anno fa. Non ricordo nemmeno quanti, così su due piedi. Ho vaghe reminiscenze su quanto accadde, in quello che è stato il momento più strambo della mia gioventù. So che lasciai perdere quanto era in mio possesso, o poco distante, dopo averlo rincorso con sicurezza da maratoneta navigato. Mollai come Dorando Petri, a pochi metri dal traguardo e nessuno mi venne a sorreggere per farmi capire che stavo bloccando un processo sul quale sarei tornato. Adesso che sono qui, di nuovo a confronto con pulsioni da registrare, con l'impressione che gli orologi di "Time" abbiano suonato la sveglia troppo tardi per rendere le cose semplici.

Mi rivedo nel folle scapigliato di "The Wall", che prova a scalare un muro senza che ci siano spazi tra un mattone e l'altro nei quali appoggiare piedi e mani, con il punto più alta della barriera che nemmeno si vede. Si chiede, con gli occhi sbarrati, "Is there anybody out there?" e la risposta è il suono della chitarra, coadiuvato in pochi istanti da un fioco violino.

L'ho sempre detto e lo ripeto: niente aiuta a capire come la musica...

Walking

Per la gioia di chi mi sfotte in merito alla mia capacità di parcheggiare più lontano di tutti, ieri ho dato un saggio delle mie capacità. Flashback al pomeriggio: passando da ULD ho incontrato NK, nerazzurruniversitario che gioiosamente stava portando avanti le ultime ore del suo ventisettesimo compleanno. Sono stato dunque invitato alla festa che poche ore più in là si sarebbe svolta al "Frizzi e Lazzi", locale a me noto per frequentazioni al di fuori dell'ambiente uldino. Scritti i due pezzi che mi erano stati commissionati, sono corso in libreria per un cadeau e ho successivamente constatato che avevo tre ore da passare prima della festa. Memore di quanto successo nelle mie precedenti apparizioni sui navigli, ho lasciato la macchina dove l'avevo parcheggiata, facendo poi tappa all'Eliseo per vedere un film prima di puntare la festa.

Suggerimento per le vostre prossime spese al cinema: "Frozen River" potete saltarlo a piè pari, se come accaduto al sottoscritto il film da voi scelto è già iniziato (volevo vedere "The Reader") piuttosto createvi un passatempo differente. L'hot dog con birra dopo il cinema è invece un'ottima scelta, ma assicuratevi che ne facciano uno più grande di quello preparato a me.

La festa ha avuto luogo, il dopo-festa al Conchetta anche, ma vi ho partecipato marginalmente data l'ora tarda. Ho mangiato un panino in stile simil-lurido prima di tornare alla macchina. Erano le quattro del mattino. Non so se vi è mai capitato di attraversare a piedi e in solitudine posti come la Darsena, Piazza XXIV maggio o le colonne di San Lorenzo a un passo dall'alba. Sono stato fermato da un trio di goliardici spagnoli (almeno credo) che volevano mostrarmi un numero ad effetto riuscito malissimo, probabilmente estorcendomi denaro. Ho superato l'entrata della metropolitana di Sant'Ambrogio e infine via Carducci, prima di arrivare alla mia macchina in corso Magenta. In mezz'ora mi sono tuffato nel rumore assordante della musica nell'iPod, seguendo il mulinare incessante delle mie gambe per strada. Tolti gli auricolari a una cinquantina di metri dall'auto, ho avvertito un vuoto intorno tipico della notte. Milano in silenzio ha quasi l'aria di piacermi.

Oh... my... God...

La brutta notizia è che ho cominciato ad avvertire un certo mal di pancia. Quella buona è che conosco i due motivi per cui ce l'ho, ma posso dirvene solo uno. Per chi mi conosce bene non c'è nemmeno bisogno che parli di quello consentito.

Il destino bastardo porco (Gioele "Ravanelli" Dix dixit) vuole che alla vigilia di un certo appuntamento mi sia arrivata una notizia da infarto, che dovrei avere la prudenza di non darvi finché non sarà confermata dalla realtà. Nel mio infinito masochismo, ve la offro lo stesso: Dahlia tv, ovvero l'emittente che ha comprato i diritti di La7 digitale terrestre, ha chiesto all'agenzia videogiornalistica per cui lavoro di avere un uomo fisso ad Appiano Gentile, lo stesso dicasi per Milanello. Potete immaginare chi sarà l'inviato dalla Pinetina, ma soprattutto credo riusciate a capire l'orgasmo plurimo e senza soluzione di continuità che il diretto interessato ha tuttora.

Non sarebbe male se riuscissi a prolungare la libido fino a domani sera. Anche tarda, non c'è problema...

8 marzo

"Sono una donna, ma sarebbe ora di finirla di festeggiare le donne l'8 marzo, visto che ogni giorno è buono per fare 'la festa' alle donne, nel senso che non ce n'è uno in cui le donne non subiscano stupri o violenze. Inoltre non mi piacciono gli shiamazzi femminili dell'8 marzo: non mi piace ricevere le mimose, allegre e soffici sui rami ma tristi nei vasi; non mi piace il business intorno a una giornata che ricorda la fatica delle donne per la propria autonomia. Insomma, che cosa mi piace? Essere amata e rispettata per quel che sono e valgo, in quanto donna". Fiamma Satta

Kant or Cunt?

Sto capendo un branco di cose da quando ho scoperto che l'equivalente della parola "fica" in inglese è facilmente confondibile con un filosofo famoso per le sue Critiche...

Il leninismo di mr Mourinho

E' lungo, ma vi consiglio caldamente la lettura del pezzo sottostante, il cui titolo è quello che vedete qui sopra (complimenti sinceri)...

da Repubblica.it

di EDMONDO BERSELLI
Conferenza stampa: José Mourinho entra a piedi pari contro tutti e non ha esitazioni, a proposito del dubbio rigore su Balotelli, a dire: "A me non piace la prostituzione intellettuale". Fermi tutti, stop e ripartenza. Ormai è chiaro che non abbiamo davanti soltanto un allenatore. Ma allora chi è, e che cos'è, il Mourinho che parla, lascia tutti a bocca aperta e se ne va?
Alla guida del Porto o del Chelsea era l'ideologo di un calcio cerebrale, giocato con formule metafisiche. Arrivato all'Inter, ha capito subito di essere caduto nel cuore più nevrotico, sentimentale e fragile del calcio mondiale. Società, squadra e "popolo" nerazzurro, un rosario di vittorie intervallato da cicli di disgrazie.
E quindi, dato che "non sono un pirla", Mourinho ha deciso che la sua partita più seria non si giocava in campo, bensì nelle interviste del dopopartita.
È il calcio parlato, analizzato ogni weekend da infinite moviole e sobillato da innumerevoli polemiche: ed è il calcio più "politico" che esista. In questa politica giocata con altri mezzi, Mourinho ha scelto di essere un leader totale. Si fa presto, infatti, a dire che è un grande comunicatore. Ma bisognerebbe stabilire intanto che cosa comunica. Perché Mourinho è un guru, un santone, un filosofo. In quanto tale, è un manipolatore di concetti. Sembra in effetti la reincarnazione postcalcistica di Helenio Herrera, non a caso detto il Mago. Solo che "Acca Acca" arrivava al massimo al "taca la bala", e ai cartelli motivazionali nello spogliatoio, "stile più forza uguale classe"; Mourinho guarda i giornalisti e si appella all'"onestà intellettuale", e spara a zero sugli avversari.
Nessun allenatore ha mai parlato così. E si capisce: in quanto leader filosofico, il tradizionalista Mourinho è in grado di agitare concetti e retoriche strappando le convenzioni. Anzi, crea una realtà parallela. Prende gli episodi più controversi del torneo e li manipola in una ricostruzione sua, una storia d'autore, sempre esibendo la faccia imbronciata di chi dice verità sgradite ed è pronto a screditare chi non le accetta. I "colleghi" Spalletti, Ancelotti, Ranieri, che si lamentano delle ingiustizie arbitrali, vengono tutti condannati al girone infernale dei bugiardi.
Nella sua fusion culturale, fra memorie salazariste e slanci guevaristi, fra la tradizione spirituale e il guerrilla marketing, Mourinho ha una visione realistica della politica e dunque anche del calcio. Qui nessuno è innocente. Solo che mentre gli altri si limitano a pensarlo, lui lo dice. E così parlando è riuscito in un'impresa di autentico splendore strategico: cioè a trasformare la società più forte e più ricca del campionato in una fortezza minacciata da nemici insidiosi, da truppe vendicative, da gang di assalitori che agitano la bandiera della giustizia senza averne il titolo.
Sugli spalti di questo fortilizio minacciato, Mourinho maneggia una dialettica da sofista, tramutando provocatoriamente il vittimismo in un'arma offensiva, e il calcio in una disfida teologica, o teosofica, con il campo di gara definito da categorie supreme: la verità, la giustizia, la salvezza, e là in fondo la Vittoria, elusivo miraggio, eterna delusione, un fado mistico ai confini di un mondo senza fede.
Un filosofo laureato inorridirebbe all'idea che qualcuno potesse vedere nel latino Mourinho l'inverarsi dello schema schmittiano "amico/nemico". Eppure, nel mondo del calcio, che copre il cinismo con le convenzioni, e la ferocia opportunistica con l'ipocrisia, Mourinho fa l'umanamente possibile per incarnare un principio di ostilità assoluta. Non vuole amici, niente smancerie. "Non sono amico suo, sinceramente", ribatte al giornalista Mario Sconcerti, che ha osato proporgli un paragone con i risultati del suo predecessore Roberto Mancini. Altre volte disdegna con improntitudine l'approccio degli intervistatori, e ogni volta impone regole tutte sue, perché la prima norma di Carl Schmitt recita: "Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione". E all'improvviso sembra addirittura esser preso da una speciale malinconia, ispirata dal fardello del potere. È il capo che avverte su di sé responsabilità immense: ma presto rialza lo sguardo, e a ciglio asciutto "vede" orizzonti e traguardi e campi di battaglia inesplorati.
Deve piacergli l'ordine, anche politicamente. Ma allora è spettacolare il modo in cui una mentalità arcaica si è proiettata nei cieli della tarda modernità. A farsi prendere la mano verrebbero in mente Clausewitz, Lenin, Mao, le avanguardie, i futurismi, i decisionismi. È come se una destra conservatrice, attraverso di lui, fosse riuscita a gestire le categorie rivoluzionarie della sinistra più accesa, il nero che si tramuta nel rosso, la razionalità che si fonde nel romanticismo, l'autorità nell'eversione. Ed è in fondo una consolazione potersi rifugiare in corner, cioè nel pensiero rassicurante che per Mourinho, quando si parla di destra e sinistra si intendono, ancora e soltanto, le fasce laterali.