Buon compleanno

Noto una voglia sempre minore di festeggiare i compleanni. La sindrome dei capelli bianchi sta prendendo corpo più al nostro interno che sulle nostre teste e non credo sia un sintomo legato alle piogge di questi giorni. Qui al Nord le nuvole passano di consueto, gli ombrelli si aprono e si bagnano, si vedono pochi sprazzi di sole da novembre a marzo. L'aria puzza, in queste strade. Anche il futuro puzza, di “Libertà per l'Italia” (questa vi arriverà tra poco) e di quel che c'è stato finora, facce della stessa medaglia che dopo aver seminato macerie hanno capito di non voler più proseguire a dividersi il metallo pregiato per mostrarsi sul podio. Nel mio piccolo, continuo a voler condividere il mio, di podio, con chi mi sta accanto, anche se quando devo alzare il telefono (espressione arcaica, nell'epoca dei cellulari) per i consueti auguri mi rendo conto che ho meno voglia io di farli rispetto a quanto non ne abbiano gli interessati di ricerverli. Non perché non mi faccia piacere sentirli, immaginare i loro volti che ridacchiano al centesimo squillo di giornata, chiacchierare, ma perché siamo talmente assorbiti dalla ricerca di una stabilità che dobbiamo attendere un compleanno per confrontarci. Fosse per me, cari amici passati all'anno successivo, vi riunirei davanti ad un tavolo periodicamente per dirvi che ho voglia di continuare a sperare, nell'entusiasmo infantile di festeggiare davanti alla torta così come in tante altre piccole cose che conservo nel mio bagaglio di irregolare felicità. Perché nulla ha di regolare la giovinezza in questi anni, tra una legalità che non è propria di chi legifera (mai lo è stato del tutto e ancor di meno lo può essere ora) e la convinzione che a rendere migliore il regno a noi circostante siano i particolari di ogni giorno, un sorriso, una ragazza sul metrò, un ricordo che arriva al momento giusto. Quel che più vi piace del presente, quel poco di vostro che è rimasto immerso in una risata, è l'appiglio per essere felici quando sentite il peso di un anno che è passato. Attaccatevi a questo, se vedete il buio dopo aver spento le candeline.

Trentundì...

E' finito Maggio. Da quindici giorni è finito Maggio del 2010, il mese con la “M” maiuscola, i trenta giorni del condor. Trentuno, per l'esattezza, a rincorrere le parole sui tasti come se fossero ragazze dalla gonna corta, per spiare se sotto l'ombra riflessa sulle cosce c'è qualcosa di più di un pensiero banale.
E' passato veloce, questo tempo di brezze in mezzo alle stagioni portanti. Ho vinto, ho vinto io. Mi sento come se avessi scalato l'Everest a mani nude senza passare per la scocciatura delle precauzioni. Ho sorvolato le atmosfere più disparate sdraiato a pancia in su, steso su aquiloni dal movimento impazzito, scottato dai soli e bagnato dalle piogge. Non sono mai sceso sotto il livello di un'altezza ragionevole, perché per le vette che dovevo toccare servivano sogni infantili, proprio quelli che fanno volteggiare gli aquiloni. Ho pensato che non potevo scendere, avrei perso per strada troppe incertezze, e con le certezze si vive bene ma non si scrive nulla di interessante. C'è tanto bisogno di rimanere a mezz'aria quando ti rendi conto di aver spiccato il volo. Per me, che da anni osservo dall'alto della penna tutto quello che accade ad altezza d'uomo, tornare a camminare con gli altri non è più possibile e non ho nemmeno paura di scendere un attimo se promettete di riportarmi quassù.
Ho solo il timore che i tuoi occhi nascondano il vuoto che c'è attaccato alla corda dell'aquilone, ma per quello basta buttarsi con le mani in avanti e con l'esperienza delle ginocchia sbucciate so cosa vuol dire cadere nel baratro di un giorno d'esilio e ritrovarsi una notte da Campione d'Europa.

Io l'ho vista così...

MILANO 21/04/2010 - Ne è passato di tempo dal novembre scorso. Da quel 2-0 subito in terra catalana, protagoniste le stesse squadre, con un’Inter arrendevole e umiliata dal Barça. Aprile, la primavera, hanno trasformato i nerazzurri in un’armata ostica anche per i campioni d’Europa, sconfitti 3-1 nella semifinale d’andata di Champions’ League. È la vittoria del coraggio, percepito fin dall’ingresso in campo. Mourinho intende giocarsela, anche a costo di subire il tanto temuto gol in trasferta. Insiste sul 4-2-3-1, con Eto’o e Pandev molto larghi a protezione delle fasce. Soprattutto al macedone viene chiesto un grande lavoro di copertura su Dani Alves, vero corrispettivo di Maicon in maglia blaugrana. Sneijder chiude su Xavi, Milito “balla” tra i centrali, ma su una palla persa da Lucio la retroguardia si trova scoperta a sinistra, dove l’ex Maxwell confeziona cavalcata e assist per l’accorrente Pedro.

REAZIONE
Sfortuna vuole che Milito prosiegua nel suo digiuno in area di rigore (due le occasioni sprecate), in compenso il lavoro di sponda è ancora valido e Sneijder ha il piede più caldo davanti a Valdes. Le due difese hanno un bel daffare: Ibra fa a sportellate con tutti e Messi trottola fra le linee, dall’altra parte il trio d’attacco scambia spesso le posizioni e per Guardiola il comportamento difensivo dei suoi diventa un rebus. L’Inter spende tanto, toglie l’aria ai palleggiatori ospiti e quando Pandev trova un varco in verticale, la coppia Milito-Maicon confeziona il sorpasso.

TRIONFO
Il tanto criticato Julio Cesar riveste i galloni del campione prima su Messi e poi su Busquets, quando i campioni d’Europa dimostrano di poter colpire anche su calcio piazzato. Il problema del Barcellona è che deve scoprirsi e né Puyol, né Piqué sembrano in serata di grazia, mentre in casa nerazzurra raccolgono i frutti del mercato estivo al 62’: grande intervento sulla trequarti di Motta e rete di Milito sugli sviluppi dell’azione. Guardiola toglie allora un insufficiente Ibra per inserire un difensore (Abidal), mentre Mourinho ha già perso Pandev per infortunio prima del 3-1. Stessa sorte tocca a Maicon e al tecnico portoghese tocca rimandare l’inserimento di Balotelli. C’è da soffrire nel finale e al ritorno Stankovic sarà squalificato, mentre il neo entrato azzurrino litiga di brutto con il pubblico. Piccole note stonate, in uno spartito meraviglioso.

Manette

Cari interisti vi scrivo, così mi distraggo un po'. Facile a dirsi, con 48 ore di attesa per Inter-Chelsea. La immaginavo differente, questa anti-vigilia. A due giorni da una gara di fondamentale importanza, constato infatti con un certo dispiacere che ci si ritrova a parlare di tutto, tranne che degli ottavi di finale di Champions' League. Me ne dispiaccio, perché qui ci si gioca tanto della nostra stagione e fino a poco tempo fa la squadra era davvero in condizioni di poter battere chiunque. Non posso dire lo stesso ora, soprattutto a livello psicologico: Santon a parte, fisicamente ci siamo tutti ed è già una buona notizia, mentalmente la questione andrà verificata in corso d'opera e non è escluso che quanto accaduto sabato sera possa influenzare le sorti della gara di mercoledì.

Premessa lunga, ma necessaria, per arrivare al nocciolo della questione: ci possiamo scherzare su, possiamo divertirci quanto ci pare, ma quanto accaduto non ci giova nella maniera più assoluta. C'è poco da dire, signori, sull'operato di Tagliavento. Le decisioni, anche quelle sulle quali possiamo discutere, sono opinabili ma non campate per aria. Vogliamo dire che il secondo giallo a Cordoba si poteva risparmiare, dato che il colombiano tira indietro la gamba un attimo prima? Diciamolo, ma aggiungiamo che lo fa tardi e che non ci si deve buttare a capofitto sull'avversario mentre si è in dieci e già ammoniti (per essere usciti un'ora prima dalla barriera su una punizione, ovvero il più stupido dei gialli). Aggiungiamo anche il metro diverso di giudizio tra i casi Eto'o e Pozzi, o il fatto che la fiscalità non è stata utilizzata in ugual maniera su altri campi, in ogni caso stiamo sviando dal problema. Il nocciolo, a mio avviso, è che la squadra deve capire quando è il momento di calmarsi e chi sta in panchina ha il dovere di fare lo stesso.

Adoro l'impatto mediatico che Mourinho ha avuto sul nostro calcio e sono convinto che nessuno negli ultimi anni abbia saputo dare alla squadra un volto così simile al proprio modo di intendere il calcio. Non nascondo che sabato sera mi sono esaltato alla grande, vedendo la squadra giocarsela con due elementi in meno e rischiare di portare a casa i tre punti, però al momento ci ritroviamo con quattro squalificati, due dei quali per comportamenti al di fuori del rettangolo di gioco, con un solo centrale di ruolo per Udine e due avversarie in netta rimonta. Siamo i più forti, dobbiamo soltanto dimostrarlo. Con le armi a nostra disposizione non dovrebbe essere difficile, almeno in Italia, ma questo non vuol dire che dobbiamo gareggiare monchi per far capire quanto siamo superiori.

In Europa, poi, tale superiorità non l'abbiamo ancora espressa e saremmo potuti arrivare all'appuntamento senza manette o scenate simili, perché obiettivamente avevamo e abbiamo cose più importanti alle quali pensare e non è poi tanto credibile che uno faccia un gesto del genere guardando l'arbitro per dirgli che "vincerebbe anche con le mai legate". Tutti noi abbiamo pensato ad altro ed è esattamente questo il motivo della squalifica. Dobbiamo calmarci, ragazzi. Calmarci e guardare al resto della stagione con la consapevolezza di poter vincere senza passare per l'avanspettacolo. Quello ce lo possiamo tenere per le conferenze stampa, che ci divertono tanto, senza doverosamente trascinarlo in campo.

Dans la rue. Quelle femme...




Già il nome incuriosisce. Un connubio alla francese tra un formaggio e un soffio di vento, con una desinenza all'infinito e una pronuncia dalla grazia tipicamente femminea. Si siede al tavolo, con gentilezza, sorride come se il mondo avesse conservato quel briciolo di umanità che si fatica a scorgere. Sogna, la ragazza, ha l'aria di chi può raccontare di angoli persi nel vuoto della memoria geografica, quasi li avesse visti un attimo prima di aprire la porta del locale. E' sicura, viva. Ha la forza di una giovane margherita impigliata tra i capelli, che si regge da sola pur strappata dalla radice. Difende con vigore la sottile differenza tra una ruota e una via. Oltre le Alpi ci tengono a certe cose. Passano ore, timide e ubriache, d'aperitivo e chiacchiere. Si alza in compagnia, con un ragazzo al fianco. Il suo. Non riesco nemmeno a salutarla come si deve. Dommage.

Il derby perfetto

A chi per una settimana ci ha fatto credere che avevamo un campionato. Pie illusioni, ha sentenziato il campo, che quando c'è stato da marcare una linea tra noi e il resto del mondo i veri valori si sono fatti vedere. Per 25' come per i restanti, vissuti in trincea e con il coltello tra i denti. Brutti, sporchi e cattivi, ma con l'astuzia del cobra che morde al momento giusto, tanto che pure in inferiorità numerica sono arrivati un palo, il 2-0 e una clamorosa occasione per Maicon (e dagliela a Mario che faccio tre punti al Fantacalcio...). E poi Mou che aizza la Curva contro le noie del freddo, abituato al calore degli stadi britannici non gli par vero che non ci sia l'inferno ad accompagnare la caduta del Diavolo. Lo scatena e poi chiede cori per chi corre sul rettangolo di gioco, indovina la chiave tattica dalla prima all'ultima mossa, potendo contare su un giovane trentaseienne che ingabbia Ronaldinho nella confusione delle sue danze. La ciliegina la mette Julio, il numero 12, quello che lo speaker può chiamare in causa solo all'inizio, perché Toldo a parte nessuno è riuscito a segnare a San Siro con i guantoni alle mani e anche in quel caso l'ultimo a toccarla era stato Vieri. Quel rigore respinto vale come e più di un gol, con cinque minuti di recupero ancora da giocare. Il popolo ringrazia tre volte, il numero perfetto. Perché questo è il derby perfetto e nel campo di battaglia ogni truppa ha il suo condottiero, pugno alzato al cielo e compagni di ventura che lo assistono trionfanti. Julio Cesar come una Marianne di Delacroix. L'Inter come la classe operaia. In paradiso, con tante scuse a Gian Maria Volontè.

La mia generazione ha perso - Personale riflessione su Craxi e dintorni

Sta accadendo in Italia quello che nemmeno lontanamente hanno pensato di fare in Germania: la santificazione di un capo di Stato con un passato controverso. Helmut Kohl, che pure gonfiò le tasche della Cdu e non le proprie, con rilievi infinitamente minori sul futuro del proprio paese, è stato confinato nell'oblio pagando, lui sì, con una certa durezza gli errori commessi e scusandosi in lacrime davanti agli elettori tutti. Ha potuto farlo perché ha scelto di affrontare la piazza, a Berlino e non ad Hammamet. Non si capisce allora come abbia potuto “pagare con durezza”, quindi in egual misura, colui che al contrario si è sottratto al lavoro giudiziario, scappando al cospetto del carcere.

Avremmo però potuto soprassedere su quanto accaduto e non calpestare una tomba, se solo non si fosse cercato, come avviene tuttora, di rivisitare l'azione politica con l'aiuto dei classici tarallucci e vino. Peggio ancora, il Presidente della Repubblica e il Parlamento hanno voluto ricordare la figura di Craxi ribaltando la prospettiva. La beffa oltre al danno, per chi vent'anni dopo la fine del governo socialista (titolo aberrante per chi di sociale aveva ben poco, avendo spartito la torta in una ristretta élite di malfattori) paga le conseguenze della struttura imposta in quella stagione e perpetrata da alcuni successori. Uno fra tutti, l'attuale premier, che usufruì a piene mani di alcuni provvedimenti 'pro domo sua', come la celebre legge Mammì.

Avremmo ancora tralasciato di guardarci indietro, se non si cercasse di propinarci una via con il suo nome inciso. Come spiegare, infatti, tra una Piazza Gramsci e un Corso Matteotti, per quali meriti si debba percorrere una strada con tale titolo? Mi troverò, futuro padre, a raccontare di come la corruzione diventò un must, un'opzione consolidata nell'Italia anni '80, mentre al mio fianco la prole altrui verrà a conoscenza del perdono postumo al quale stiamo assistendo. Anch'io, allora, racconterò quella storia con una vergogna profonda, per non essere riuscito in quanto rappresentante della mia generazione ad evitare questo scempio.

Nel 2010, da ben tre lustri, a menare le danze c'è la sintesi più riuscita tra il Bettino nazionale e Licio Gelli, ovvero un corruttore-corrotto e colui che teorizzò la devastazione della magistratura per nascondere le sue pecche. Berlusconi non è solo 'utilizzatore finale' delle leggi craxiane, ne é anche un'evoluzione più spinta. Una figura, non dubito, che avrà i suoi riconoscimenti nella toponomastica del 2030.

Il pagellone



CHRISTIAN 6 Pianta una madonna aurticante dentro di sé, quando fallisce da pochi passi l'assist di Valentino dalla destra. Per fortuna non è ventriloquo e quindi non lo sente nessuno.
GABI 6.5 Grazie a lui, anche la Romania può dire di avere (un) Venezia. Sarà contenta l'agenzia del turismo. In compenso non lo sposti nemmeno col carroponte.
JACK 8 A Natale non ha pescato nemmeno l'ambo, dopo le feste coglie la cinquina, seppure da zoppo e ad un anno dall'addio al calcio. Il nuovo Toti, più che il nuovo Totti.
MARTINO 7 Lui stesso commenterebbe la sua prova con il fatidico “se sei inculato”. In assenza di Mihai, ne fa le veci con un paio di giocate di puro culo che gridano vendetta a Dio.
MATTIA 5 Io di calcio scrivo soltanto, come noto. Non è che posso anche saper giocare, sennò non sarei a Ceriano Laghetto. Adesso sono diventato pure procuratore...
PAOLO 7 Contravvenendo al ruolo naturale, offre il meglio di sé lontano dai pali, guidando il tentativo di rimonta. Prova invano la zampata dell'ultimo secondo che avrebbe portato ai supplementari. Da giocare non si sa dove, visto che la campanella era già suonata.
STEFANO 7 Ogni tanto lo guardi giocare e ti verrebbe da dirgli: “Piantala di correre, hai rotto i coglioni!”.
VALENTINO 6.5 Lo Zauli del Salento, ma con più scatto. Da qualche tempo ha aumentato l'autonomia, inizialmente ridotta ai primi 5-10 minuti di partita. Grande cuggì!
VITTORIO 6 In campo è una presenza, nel senso che con la maglietta color Titti è impossibile non notarlo. Esegue un intervento di asportazione del perone ai danni di Stefano, che peraltro riesce comunque a servire l'assist a Paolo.

Giant steps are what you take



La gamba è sciolta. Cammina, cammina sempre. Al passo con le stagioni e con gli anni, giovani e ardenti, si fa spazio in mezzo a chilometri di selva. Ho lasciato che la civiltà restasse in ritardo, avanzando in maniera silente, per non farmi sentire. Detta così sembra una violazione di domicilio e così è, per chi si sente ospite della terra. Con la maiuscola o minuscola, chi arriva dal Sud non fa distinzioni. I frutti, la carne, gli esseri umani fanno parte di un insieme più ampio e di un progetto scritto a monte. Segui le linee guida, ne esci se ne sei capace, deragli quando i binari si rompono. Con l'evolversi della società anche saltare in corsa al mirar dell'ostacolo è diventato un'arte e negli ultimi anni ho avuto spesso la sensazione che lo scarto fosse vicino, che il vagone stesse per catapultare fuori me e i passeggeri tutti, in barba a chi nella parola futuro ha puntato un centesimo. A perdere, perché a vent'anni l'unica chimera è un posto fisso nella stabilità. O nell'oblio...

Ispirazioni



Il nuovo anno è cominciato. Pochi giorni, alcune novità, qualcosa si divincola dalla routine. Più sensazioni che fatti, in verità. E' possibile che la mente stia concependo un fondo di realtà alternativa in ciò che le prime ore del neonato decennio hanno concepito. In grembo al mondo e in faccia a Dio, mi sento padrone di ciò che sono, esattamente come lo ero prima e forse con più consapevolezza. Sono cosciente di poter fare di più, perché sempre si può. I confini esistono solo per chi vuole porli. Ho sempre creduto nell'infinito e figuriamoci se non ci credo quando sto bene. Fintanto che avverto dei brividi di libertà sulla schiena nuda, mentre lo specchio mi assiste, il corpo risponderà a dovere. Lo so io e lo sa chi mi ascolta e legge. Mi piacerebbe soltanto non aver sonno la sera e prolungare così l'attività cerebrale, per capire come va affrontato lo spazio-tempo in ogni suo istante. Esplorare se stessi e il mondo mentre la gente comune non può farlo sarebbe un dono incommensurabile, se si è capaci di raccontare e io so farlo. E' per questo che non mi stanco, che aggredisco lo spazio come Don Chisciotte davanti ai mulini. Con un vaffanculo ogni tanto per aver pestato una merda. Quando il sole tramonta mi dico sempre che al prossimo sorgere sarò davanti alla scrivania, unico posto in cui sento di dover stare. La birra di fianco, le dita veloci, l'occhio che raccoglie a 360° i suggerimenti che diverranno parole. Ogni rumore è un soffio che passa, fin quando il fiato si farà corto e con le labbra si chiuderanno i pensieri.