Reinventarsi

L'ultima puntata di Annozero è stata un toccasana. Confesso candidamente di non vivere il periodo migliore della mia vita. Tornare sulla terra dopo aver vissuto tra le stelle, vedi l'anno concluso sei mesi fa, è un esercizio da esperti trapezisti, quel che non si può essere a ventotto anni. Non in questo paese, nel quale ciò che ci si costruisce da solo è sempre troppo poco per sentirsi in piedi su una base solida. Costruire quotidianamente il proprio entusiasmo è l'unico modo per guardare al futuro a testa alta e con il sorriso stampato sulle labbra in misura percentualmente maggiore rispetto allo sguardo triste. Si fa fatica a trovare una logica nello scorrere del tempo, nell'avanzare degli anni, quando la società ha un invecchiamento direttamente proporzionale al tuo. E' un processo che dovrebbe essere diametralmente opposto, io invecchio e il mondo migliora, ma non c'è nulla di così matematico nel vivere la propria vita.

Eppure, guardando chi si reinventa dopo aver fatto trent'anni su piazza, pur sapendo quanto può essere semplice farlo con una determinata buonuscita, aiuta a farlo a propria volta. Aiuta a concentrarsi sull'obiettivo costante, che non può ma deve essere una lotta seria contro la noia dello stare assieme a se stessi, al proprio lavoro e alla voglia di chi sta sopra di te di non renderti indietro una gioia neanche costretto con la forza. La risposta è sempre reagire ed ha un che di miracoloso scoprirlo guardando la vituperata tv di oggi.

Un'ultima riflessione: chi ha detto che la rabbia scalda i cuori ma non risolve i problemi non ha mai visto parlare il ministro Brunetta. E' la rabbia la spia che annuncia la presenza di un'anomalia, trovare la soluzione è la logica conseguenza.

Il primo maggio di un giovane lavoratore

La sveglia segna le dieci e trenta e io sto guardando l'orologio direttamente dal letto. Può significare soltanto una cosa: oggi è il primo di maggio. La seconda visione che ho dopo la sveglia sei tu, nuda al mio fianco. Abbiamo fatto l'amore sapendo che oggi non avremmo pagato dazio alla stanchezza, tanto chi ci schioda da qui. Oggi è festa, la nostra. È l'unico giorno dell'anno in cui oltre a sognare realizziamo, andiamo più in là del malsano vivere quotidiano dietro cui ci trasciniamo per darci un avvenire e darlo ai nostri futuri figli, se e quando ne avremo. Tu dormi, tranquilla. Fallo pure oggi, perché da domani non potrai più per un altro anno ancora. Fallo perché mi permetti di guardarti mentre sogniamo insieme, tu ad occhi chiusi ed io da sveglio. Sei una meraviglia e questo aumenta il mio rammarico per la vita che ancora non sono riuscito a darti. Mio dio, quanto ti amo. Eppure non riesco a fornirti qualcosa oltre alla felicità di stare insieme, una stabilità per stracciare il contratto d'affitto e comprare una casa tutta nostra, mettere su famiglia, sentirci sereni nel nostro equilibrio e non dover regalare giornate alla tristezza pensando a come arriveremo alla fine del mese. Sbaglio io, a riflettere adesso su tutto questo, perché oggi è il primo giorno di maggio, l'ultimo che ho prima di altri 365 per poter sognare di stare ogni giorno a guardarti serena mentre dormi. Piacerebbe anche a te osservarti da qui, mentre conservi sulle labbra un mezzo sorriso, quasi sapessi seppur non desta che giorno è oggi. Non ti bacerò come ogni mattina per svegliarti, lascerò che quell'espressione di gioia si apra alla luce. Perché oggi è il primo di maggio. C'è bisogno di aprire gli occhi con un sorriso.

Pastarito

Ingredienti per essere un buon osservatore. Per cominciare un sottofondo come si deve, d'autore, che stimoli il tuo senso romantico, magari non troppo legato ad un ricordo passato. Un po' di vino, birra all'occorenza, anche se la seconda è più da compagnia che da meditazione. Una mente aperta allo sguardo e che conosca la vergogna fino ad un certo punto. Guardare di nascosto è un'arte, ancor di più se si osserva il bello o l'interessante. La vittoria sta nel non farsi pizzicare dall'osservata (ebbene sì, è una ragazza) mentre sorridi del suo vestitino bianco e della maglia grigia sulle spalle o dei suoi denti storti che ne rendono umano il sorriso e l'aspetto. Con un bel "chi se ne importa" se è tua o di chi le sta di fronte e le tiene la mano sul tavolo. In fondo, ad un buon osservatore, basta immaginarla propria per cinque minuti, alzare lo sguardo e fantasticare su un ipotetico, folle svolgimento della serata: andare al suo tavolo, darle il foglietto sul quale hai scritto e dirle dolcemente, "Questa è per te".

Mosaico

Eppure non pensavo sarebbe stato così. Quando anni fa, in un tempo indefinito e lontano, decisi che non mi bastava quel che avevo, pensai che era il caso di guardarmi intorno e cercare ovunque la risposta a quel che sentivo mancare. Il problema vero, allora come oggi, era che a non esserci era l'oggetto stesso del quesito. Guardandomi allo specchio non mi sono chiesto dove volevo andare a parare, sono uscito e basta. Ho fatto giravolte, capriole, ho passato ogni attimo a pensare come avrei potuto occupare il prossimo e non ho trovato quel che più mi sarebbe dovuto stare a cuore: la stabilità. Chiunque, nell'elite dei felici, ne ha una parte con se alla quale potersi appoggiare.

Non di solo girovagare vive l'uomo, anche se è sempre meglio un dio vagabondo di un profeta casalingo, ed è forse per questo che sento un senso di incompiuto attorno a me. Ho bisogno di guardare la foto di Garrincha, immaginandone il volo senza riflettere troppo sulla caduta. Voglio libertà, di pensiero e movimento, libertà dalla pigrizia che mi attanaglia quando devo puntare le ore che passano, come "Mano" guardava all'avversario di turno e lo schivava mandando avanti la gamba più corta e poi la più lunga.

Al termine della notte, quando tutti i ragionamenti giungono al pettine o allo spazzolino da denti, l'acqua che scorre e porta via i residui dal fondo del lavabo ha ancora un colore chiaro e trasparente, anche se lievemente intriso di sporcizia. Questo significa che la base c'è e si è formata su fondamenta variegate e solide: gli amici, le mie passioni, gli sporadici sorrisi che ne generano altri in sequenza. Manca solo quel tassello in grado di completare il mosaico.Prima di volare, come la Garrincha, senza la fine che si deve alle leggende a cui hanno tarpato le ali.

L'abbraccio dell'8

Simbologia di un numero: l'otto. Cifra palindroma, chiusa fin dalla sua forma. Da qualsiasi punto tu faccia partire la penna, ti ritroverai nella condizione di poterla ricalcare all'infinito facendo sempre il medesimo movimento. Se la distendi, diventa per l'appunto un simbolo di infinito, o magari il disegno di una pista per macchine telecomandate, che una volta andavano tanto e adesso chi se le ricorda più.

L'otto inteso come data di marzo ha resistito nel tempo più del giocattolo, per fortuna, anche se le sfumature di quel che è stato nel tempo la ricorrenza ora si scorgono appena. Adesso è una festa dei fiorai oppure un modo come un altro per non far sforzare gli autori televisivi sul tema della giornata da far sviluppare a Sposini o alla D'Urso (avessi detto Corrado), tranne che per i pochi che si ricordano perché, alla base di tutto, si è deciso un giorno di celebrare l'otto marzo.

E' solo un caso, ma il numero è perfetto per la giornata, visto da questa parte della barricata (quella maschile). L'otto è una specie di abbraccio mutuato dal disegno dei numeri, qualcosa che ti avvolge come un profumo a Primavera, annunciando il solstizio in anticipo. L'otto, indice di fortuna al gioco se gli si toglie un apostrofo, è quel che divide gioia e tristezza, che si abbia o no la possibilità di baciare una donna appena svegli. L'otto di marzo è l'otto di marzo, ma è una giornata che non nasce con un sole diverso da quello del sette o del nove, almeno se lo s'intende come un maggior rispetto da portare alla categoria. Io lo porto da sempre e le donne sempre me ne portano (quelle a cui mi rivolgo, s'intende). E' un giorno in più in cui vado a cercare l'abbraccio simboleggiato da quel numero, perché non potrei proprio fare senza. Donne, auguri.

Punti orizzontali

Il marciapiede è lungo a terminare. Fermo, dall'orizzonte infinito, soprattutto quando non passa nessuno e al buio il punto più distante non riesci nemmeno a capire cosa sia. Dal mio pezzo di muro in Ripamonti, sigaretta tra le mani, i punti visibili sono due, orizzontali a differenza di quelli che si mettono in una frase. Fossero da punteggiatura, infatti, sarebbero una pausa tra una parte e l'altra di un periodo e invece sono uno di fianco all'altro e sanno tanto di "a capo, lettera maiuscola", come insegnavano alle elementari.
Sono punti in movimento costante, tranquilli pur se in moto, due onde che si camminano al fianco mirando alla stessa riva, sperando che il vento li trascini per inerzia alla stessa meta. Ci sono teste basse verso il terreno che si alzano di fretta a fissare il cielo e c'è un bisbigliare di sottofondo con annessi sorrisi e braccia che si muovono attorno al collo. C'è tanto di nuovo e salutare. C'è un amico felice.

Ronaldo

Ricordo ancora e mai potrò dimenticare, l'estate e poi l'autunno del '97. Era il mio primo anno da tifoso "praticante", di quelli che una domenica sì e una no imboccano l'autostrada in direzione San Siro. Ricordo bene quell'urlo crescente della folla, udibile anche tra i disgraziati del primo anello verde (quelli che quando c'è il derby non vedono che nebbia e residui di coreografia per i primi cinque minuti di partita) rivolto al ragazzone dai denti in vista lanciato in progressione. Uno slalomista senza gli sci, in grado di superare le leggi della fisica che di malavoglia studiavo all'epoca, liceale poco convinto e futuro seguace del calcio come professione collaterale, penna in mano e pallone ai piedi di altri.



Quanto l'ho amato quel 10 nerazzurro. Dal primo giorno al Meazza, attorniato da una folla di bimbi festanti per una semplice amichevole di metà luglio, poco dopo essersi affacciato dal balcone della sede in via Durini come un Papa all'Angelus. Ho tutto in mente: il gol annullato in casa contro il Brescia, il dribbling a Bologna contro Paganin, il gol alla Fiorentina, quello al Parma su punizione e via discorrendo uno dietro l'altro. Non c'è stato mai nessuno, sulla singola stagione, in grado di scatenare quella sensazione di onnipotenza calcistica che Ronaldo sprigionò ormai tredici anni fa, all'apice di una carriera che lo ha visto vincere tanto, molto meno di quanto avrebbe potuto. La fama, le donne (troppe), la finale del Mondiale a Saint Denis di cui ancora oggi ho il sospetto di saperne ben poco hanno contribuito a farne un giocatore in declino, sorretto per anni da una classe immensa pur senza la brillantezza della prima versione.



Non esiste Ibrahimovic, Eto'o o Messi che tenga, forse perché l'argentino a Milano è passato due volte in una stagione senza lasciare traccia. Quello che, come da ritaglio di giornale d'annata, veniva definito un calciatore con "fisico da boxeur e piedi da Fred Astaire", è stato semplicemente il più grande degli ultimi quindici anni, solo perché i ricordi più in là nel tempo sono troppo sfocati per essere considerabili.



Anche nel tradimento, l'amore sportivo per chi ci ha fatto piangere conserva un angolo solitario ed eterno di riconoscenza.



Una lacrima è per te, Fenomeno. Grazie.