Sud

Non so dire fino in fondo che cos'è. E' una carcassa di passato informe, fatto di fango che si è seccato, come sciolto dai passi pesanti. Sto cavalcando stretto tra le gobbe di un cammello, lasciato alla deriva nel vuoto del deserto, con il sole allo zenit e l'inconscio a rappresentare l'unica parte di me in qualche modo sveglia. Dormiente, con la testa a penzoloni e le braccia che quasi strusciano a terra, il sangue al cervello. Troppo. Il passo stanco del cammello si ripete con un battito regolare, cadenzato dai rumori del silenzio. Tutto sommato sono nella miglior situazione possibile. Alla deriva, senza saperlo. Con i rintocchi delle campane che scandiscono la mia gioventù, nel mare di un mondo che mi porta a spasso come vuole, in carrozza o legato a due funi mentre trasporto il peso del mio pensiero sul risciò. Vado come un treno, urlo, mi sgolo per cercare un angolo di futuro in equilibrio meno precario. E mi rimane solo questa parola. Precario. Come l'equilibrio di cui sopra, come la società, come le ore contate di chi ha sorriso troppo poco. Mi resta un gemito, la mia scrittura. In un mondo che spero tanto non esista più un attimo dopo. Mi volto, mi rigiro di nuovo. La terra è sempre qui. Stuprata dai miei simili. “Il lavoro cazzo, la casa!”. Quel film si chiamava Sud. Casa mia si chiama Sud. Ogni tanto ho bisogno di ricordarmelo...

Lullaby

Non riesco più ad ascoltare i Cure. Non che sia mai stato un fan accanito del gruppo inglese, mi sono praticamente imbattuto in alcuni pezzi di Robert Smith e soci. Così mi è successo oggi, lasciando scorrere in random iTunes e attendendo che il cervello facesse un cenno di approvazione verso uno dei pezzi rilasciati dal programma, di ascoltare l'attacco del loro capolavoro più celebre. Splendida canzone, da gustare fino all'ultimo, ma non ce la faccio. E' inevitabile pensare a chi ti ha trasmesso la passione per un pezzo musicale nel momento in cui ti passa davanti. Mi accorgo che non ho voglia di pensare così spesso a ciò che è successo, lavoro come un matto, se non lavoro prendo una birra. Se non prendo una birra dormo. Magari lancio due frecce a bersaglio tanto per capire fino in fondo quanto è peggiorata la mira nelle ultime settimane, vista l'inattività. Penso tanto a quanto si possa stare meglio di così anche nella migliore delle peggiori situazioni. Mi fa forza. Non mi serve un'analisi lucida del presente, sarebbe inutile cercare motivi che non esistono, anche apprezzando chi riesce a rialzarsi con un santino in tasca e una preghiera al calar del sole. Gli eventi ti cambiano per molti aspetti, tuttavia non me la sento di trasformare una fede inesistente in un punto d'appoggio. Preferisco le ragioni del luppolo rispetto a quelle ecclesiastiche. Mi aiutano meglio a conservare il sorriso. Si chiama self-monitoring, capacità di presentarsi come le diverse situazioni indurrebbero a fare. Ne ho messo da parte qualche cassa.

October

October
And the trees are stripped bare
Of all they wear
What do I care

October
And kingdoms rise
And kingdoms fall
But you go on

And on

Quanto tempo, quanto tempo...

Ho delle pause più lunghe del solito da quando mi sbatto con una certa assiduità. Non è la prima volta che mi succede di essere assorbito dal binomio lavoro-birra con gli amici. Tanto da non riuscire a fare null'altro, tornare a casa se ne avessi voglia o scrivere per ragioni diverse da quelle per cui mi pagano. Ma se la missione è "meno tempo per pensare meno", la riuscita è totale. Soprattutto se poi, come accaduto ieri, la birra, il locale, gli amici sono prescelti (sul pub ho delegato, ma avevo contatti fidati). Credo che la riuscita di una serata dipenda da vari fattori e che tirando le somme al termine di un incontro si debbano valutare i piccoli dettagli. Uno, già esposto ai presenti ieri sera, è la necessità di guardare l'orologio. Io ieri non ho visto il quadrante dalle ore 22.30 (orario in cui, con un giro completo della lancetta piccola di ritardo, mi sono presentato al Mulligan's) fino alle 2 am circa. All'uscita, l'unica cosa che non abbiamo fatto in tre, oltre all'amore, è fumarci una sigaretta, per il semplice motivo che i tabagisti erano solo due. Io ogni tanto mi concedo altri vizi, magari se proprio sono incazzato ne chiedo umilmente una per uso occasionale, ma ieri non avevo nulla di cui essere incazzato. Ho passato la mia giornata tra il lavoro, un salto da un amico (pari e patta a Raw, grande prova del Becchino in un first blood con la Rated R!), una cena al messicano con tanto di discussione politica da cui ho fatto fatica a liberarmi e le tre birre con cui mi sono abbandonato al sonno una volta tornato a casa. Per avere le palle girate avrei dovuto incontrare per strada Mastella, che fortunatamente non bazzica certe zone.