Nice

Pochi minuti per descrivere una citta' in cui non pensavo di potermi immergere. Sono qui da due giorni e sto cominciando ad amare tutto cio' che le cartoline non mostrano, la parte vecchia della citta', l'odore del mare nella promenade des anglais, la ruota che si illumina a cinquanta metri d'altezza. Gira, scandisce i tempi della notte dall'alto, tirandoti fuori dalle viuzze strette e piene di turisti che affollano la costa azzurra. Tra poche ore arrivera' il nuovo anno. Lo passero' in un posto diverso dal solito, assaggiando pesce diverso dal solito, con un'atmosfera diversa dal solito. Voila'.

Omaggio


Come descrivere una coppia. Si presentano così. La stessa medaglia in due facce diverse. Uniti per osmosi in una discrezione tipica di chi è nato in un tempo sbagliato per essere troppo sui generis. La stessa passione, lo stesso sorriso, una birra e una pizza. Un amico che ha trovato qualcosa che non stava cercando. Una specie di Agassi a Key Biscayne, che colpisce la pallina facendola passare sotto le gambe, solo per mantenere vivo lo scambio e quando si volta si accorge che il pubblico è in delirio. Palla all'incrocio delle righe.

Li vedo seduti di fronte a me, uniti da un filo immaginario che si contorce tra un mano nella mano e un sorriso congiunto per una battuta. Sembrano più una sintesi di loro stessi che l'unione delle due persone. Si distinguono dal resto del mondo perché fanno eccezione a una regola: sono due non opposti che si attraggono lo stesso.

La serata finisce, mi salutano con l'aria di chi mi rivedrà prima o poi. Sorridono. Sorridono sempre. Sorridono ancora.

19 dicembre 1992

Da "La Repubblica" del 19 dicembre 1993.

"I SenzaBrera", di Gianni Mura

"Da un anno siamo i Senzabrera, che scritto così sembra il cognome d'una famiglia di Salamanca o di Tucuman e forse ci frega la voglia di un neologismo: è una delle strette in cui si ritrovano i Senzabrera. Non siamo solo noi intesi come redazione sportiva di Repubblica. Ce ne sono tanti altri, da un anno giusto, da un giorno ingiusto. C'è il professor Z che scrive da New York, americano e breriano, c'è una poesia scritta in provincia di Treviso, ci sono gli amici che aveva Brera un po' dappertutto, forse non tutti veri ma questo è un altro discorso e tanto vale lasciarlo cadere.

Noi dello sport, dicevamo. Prima il Navarro, il Generale, poi Giovannino, Giuseppino, solo Bocca non aveva un diminutivo, anche perché pare un quaterback, ed era, saltuariamente, lo Zingaro per via dei baffoni. Siamo Senzabrera in assoluto e nelle piccole abitudini d'ogni giorno: sabato Brera di presentazione, lunedì di commento, mercoledì di cronaca, giovedì le lettere dei lettori. Leggevamo sul video del terminale, non solo chi faceva la titolazione. Perché se hai il vantaggio di un Brera in anticipo, lo leggi subito. E ci trovi sempre qualcosa.

E poi era bello lavorare con Brera, l'unica avvertenza era di non chiamarlo prima di mezzogiorno, di rispettare il rito: sveglia a mattino avanzato, lunghissima doccia, lettura quotidiani. "Quanto devo scrivere ? " era la sua frase di rito. Ci manca anche quella. Non era solo il "devo" a impressionare, ma il fatto in sé. Chi era Brera, lo sanno anche i più giovani, può permettersi di sforare, e poi in redazione si arrangino. E' una dimostrazione di potere e la fa pure chi non arriva al ginocchio di Brera, e se gli tagli tre righe perché sei impiccato al momento di chiudere, capace pure che protesta col direttore. Brera ci teneva a rispettare gli spazi e i tempi. Il sabato chiamava spesso da paesi non a tutti notissimi, Portogruaro, Abbadia San Salvatore, Cozzo Lamellina, poteva essere lì per una battuta di caccia o per una mangiata con amici. Scriveva e dettava dal ristorante, entro le 18 il pezzo era in redazione.

Di usare il pc non aveva voluto saperne. La vecchia Olivetti, e cartelle bianche extrastrong, non quelle già marginate di Repubblica. Spazio tre, per scrivere chiare le varianti a penna. Qualche taglio l'abbiamo dovuto fare, nei pezzi a braccio dettati dopo le partite in notturna. Perché era vero, meglio dieci righe in più che dieci righe in meno. Si tagliava a malincuore perché si si toglieva dalla pagina qualcosa che valeva la pena di essere letto. Non allungava il brodo, Brera.

E fra di noi c'è chi lo ha conosciuto di più, chi di meno, chi ha passato molto tempo anche a tavola con lui e chi gli ha parlato per telefono.Ma tutti pensiamo la stessa cosa: che il giornalista Brera ha sempre preso molto sul serio il suo lavoro e si è costantemente impegnato non solo per amor di firma, ma per amor di mestiere. Se le lettere dei lettori, quelle destinate alla sua Accademia, tardavano di mezzora, telefonava. E telefonava o interveniva di persona per fatti privati, morti in famiglia, matrimoni, compleanni. Il grande calcio non l'ha ricambiato, quando è morto lui.

Ci manca perché gli volevamo bene, non solo perché è stato per dieci anni la firma nobilitante di queste pagine. Gli volevamo bene perché aveva dei difetti, ma nessuno dei difetti delle grandi firme. Non era arrogante né presuntuoso. Ci manca il " mai paura", frase ricorrente quando gli si raccontava di una promozione in arrivo, o di un servizio difficile. Ci mancano i prepartita e i dopopartita, ore lunghissime (Gianni sono già le due. Vorrai dire che sono solo le due ) che passavano in fretta, ma qualcuno di noi qualche sera si è sottratto inventando l'unico alibi che non lo contrariava: un appuntamento, una conquista, una donna. Ah bé, ad Veneres, allora vai.

Ci manca quel suo alzarsi di contraggenio, quasi con un grugnito di ribellione interna, alla prima nota dell'inno di Mameli ( ma vi rendete conto di quanto è brutto?) e quel suo applaudire togliendosi il cappello, l'inno dell'altra nazionale. E anche gli scappellamenti ostentati, col sorriso, a quelli che da sotto la tribuna stampa, o di fianco, gli urlavano contro perché la pensavano diversamente da lui.

Ubriacone, spesso. Curioso che in un paese di mascalzoni supremi, ladri e marchettari (anche nel calcio) fosse considerato grave delitto amare il vino. E infine c'è qualcuno che abbia mai visto Brera ubriaco? Sapeva bere e sapeva quando fermarsi. Ci manca quel suo valutare il vino solo annusando il tappo. Quel modo strano di eleggere i ristoranti del cuore e dell'abitudine, a Milano come a Napoli, a Roma come a Genova. Una tana. Il ristorante pseudorusso a Parigi durante gli europei dell'84, la patronne era di Mantova, quello jugoslavo a Monaco di Baviera ai mondiali del '74, quello italiano a Mexico City ai mondiali dell'86, quello greco a Montreal all'Olimpiade del '76.

Era come se Brera cercasse una minoranza, sia pur gastronomica, in cui rifugiarsi. Salvo stupirci dichiarando: la miglior cucina del mondo è in Danimarca. E ci stupì anche nell'84, rifiutandosi di andare all'Olimpiade di Los Angeles. Diceva di non poter mettere piede negli Usa perché un mafioso aveva giurato, un sacco d'anni fa, di fargli la pelle per una storia di donne. Non ci abbiamo mai creduto, forse non gli piaceva l'idea di stare tre settimane a LA ( e non aveva torto), ma raccontava questa storia così bene (al solito) che abbiamo abbozzato.

Ci manca la sua gioia vicina al collasso la notte del 3-1 di Madrid, luglio '82. Il suo imbarazzo nel non poter mantenere la promessa di andare in processione tra i flagellatori al suo paese, il giorno di San Bartolomeo, se l'Italia di Bearzot avesse battuto il grande Brasile. I "batù" erano stati aboliti già da molti anni, a San Zenone, ma lui mancava da tanto, non lo sapeva.

Ci manca come battistrada, adesso che usciremo tutti i lunedì. Mai paura, avrebbe detto Brera. Avrebbe preso parte a tutte le riunioni di questo periodo, avrebbe detto che non è vero che la tv si mangia, la domenica, tutta la voglia di leggere, il lunedì. Avrebbe regalato ai fumatori le pipe di Brebbia che teneva sempre nel borsello d'ippopotamo. Avrebbe bevuto Barbaresco in vicolo delle Bollette. Avrebbe coniato altri neologismi. E chissà se avrebbe ritirato fuori la storia del mafioso per i mondiali del '94.

Noi dello sport di Repubblica, ricordandolo con gli amici morti con lui sulla strada fra Maleo e Codogno, gli dobbiamo l'impegno a far seriamente questo mestiere. A farlo da Senzabrera che con Brera e da Brera qualcosa pensano di aver imparato e a Brera pensano di dovere qualcosa che non si esaurisce col ricordo e il rimpianto".

Particolare andaluso


Me lo ricordo, quel giorno a Cordoba. Con un piede fuori uso e la solita voglia di macinare chilometri come solo Bekila. Quasi scalzo, con le infradito nere che avevano attraversato Barcellona, Madrid, Granada, Siviglia, Cadiz. Le stesse che avrebbero portato le mie stanche membra attraverso la pioggia di Lagos, i suoi ristoranti italiani, per poi scendere nelle viscere più interne di Lisbona. Ricordo che alle otto e mezza passai davanti a un orologio elettronico di quelli che abbelliscono le piazze vuote. Il termometro accanto segnava 38 gradi.

Nonostante un dolore lancinante feci tre volte la via principale del centro città, alla ricerca di una birra tipica del posto. Nel locale prescelto c'era soltanto la solita Cruzcampo, con cui gli andalusi sprofondano in quello che vogliono. I tavolini disposti sul marciapiede erano tutti occupati e mi ritrovai ad essere tra i pochissimi clienti del pub seduti all'interno. Visto il freddo di questi giorni è confortante vedermi in maglietta, con il block notes posato sul tavolo, la birra a metà e uno sguardo da deficiente che cerca di sforzarsi di essere naturale.

Molte delle foto che documentano il mio passaggio nella "peninsula" sono state concepite con un autoscatto. Molti non lo immaginerebbero, ma uno foto del genere nasconde un lungo processo prima del click definitivo. Non è la classica diapositiva in cui metti in posa due persone abbracciate e gli ordini di sorridere pochi secondi prima di scattare. E' molto di più. E' immaginare la foto prima di scattarla, trovare un punto d'appoggio per la macchina, scattare una, due, tre volte prima di essere soddisfatti, carpire un particolare in più o in meno che può influenzare il risultato finale.

Nel momento in cui guardai la foto sul display della digitale non mi accorsi di un particolare. Il portatovaglioli in alto a sinistra, che senza la prospettiva sarebbe più in basso rispetto a me. Sulla parte rivolta verso l'obiettivo si nota distintamente il riflesso di una signora seduta al bancone. Inizialmente la scoperta non mi fece né caldo né freddo. Adesso ci ripenso e sono quasi contento dell'involontaria inclusione. E' una specie di simbolo dell'allegria anagraficamente trasversale dell'Andalusia. A Milano non vedo gente ai pub sopra i sessanta da qualche secolo. In Irlanda, ad esempio, ce ne sono a bizzeffe. Di quelli che ti trattengono per un braccio se vedono che ti stai alzando per andare via, mentre sul palco all'angolo della sala qualcuno sfodera un repertorio di canzoni popolari che invogliano all'ubriachezza.

Sarà che finché c'è Prosperini in giro si può dimostrare che la demenza non deriva per forza dal tasso alcolico...

La forza sia con te

A volte penso davvero che credere nella forza, come faceva il buon vecchio maestro Joda, sia l'unica soluzione per salvarsi. D'altronde, non può essere colpa mia se non credo nella religione cattolica o in qualsiasi altra. Semmai i rei sono quelli che nelle istituzioni che li tramandano, certi principi, non mi hanno fatto credere. Ha fatto più, e meglio, George Lucas in trent'anni per diffondere uno spirito religioso (ancorché fantascientifico) che l'intero movimento cattolico in tutti questi secoli.

Alla fine, in cosa può voler credere un ragazzo di 25 anni? Nell'indipendenza, in un lavoro che piace (o in una facoltà interessante all'università, a seconda dei casi), in una bella ragazza, in un bel gruppo di amici, nella squadra del cuore che vince. Quando ti avvicini ai 20, anche se "si è stupidi davvero", ti sembra sempre che manchi il classico centesimo per fare la lira. Poi la soglia passa, ti accorgi che non esistono felicità massime e imperiture, che un bacio è già una gioia meravigliosa, che una canzone al mattino ti cambia la prospettiva per le ore successive.

Dipende anche da qual è la canzone in questione. Stamattina non sono riuscito a uscire dalla macchina se non cinque minuti dopo aver spento il motore. Bottura ha chiuso "Lateral" con "Ma il cielo è sempre più blu". Pezzo che ripercorre occupazioni e preoccupazioni di mezza Italia, quella meridionale. Eppure a me porta solo allegria. Al contrario, pochi istanti fa è partita "No one knows", tanto che avevo voglia di spaccare un vetro a testate. Poi è arrivata "Clan Banlieu" e quel viaggio di fine anno paventato in questi giorni ha cominciato a rimbombarmi in testa.

Stasera mi faccio una scura, intesa come la birra, e ascolto il parere di un'amica tanto per capire cosa ne pensa. In fondo, guardare una bella ragazza fa sempre piacere, anche se non è la tua e non hai programmato di andare oltre a quello che c'è. Anche questo è pensare a qualcosa per stare meglio.

Sfiorisci Belpietro (cfr. De Gregori)

Dopo l'iscrizione a Napoli nel registro degli indagati per corruzione, Berlusconi ha scritto un esposto a Mastella. E' il segnale che, a dispetto di quanto dice Fini, il Cavaliere si fida dei suoi alleati.

Ormai l'unico modo per scacciare certi pensieri è riderci su. Piangerci, o incazzarsi, finora non ha dato grandi risultati, per quanto all'indignazione si faccia fatica a sfuggire. Sono arrabbiato, deluso, mi rendo conto che il decadimento politico del nostro paese avanza inesorabile. Invece di chiedersi come migliorare la situazione dell'Italia, ci si domanda come affrontare al meglio il prossimo sistema elettorale. L'idea machiavellica per cui "prima i voti, poi le idee" può andar bene se e solo se il passo numero due viene fatto senza tener conto delle lobby interne alle coalizioni. Purtroppo il filo logico di cui sopra si spezza nel momento in cui si diventa ingordi di alleanze, come dimostra la situazione attuale tra il governo e i diniani, o i mastelliani. E mi devo pure sentir dire da Schifani che il pacchetto sicurezza è stato creato sotto il ricatto della sinistra estrema.

Mi vengono in mente talmente tanti nomi che non vorrei vedere nemmeno in un'assemblea di condominio, figuriamoci in una seduta alla Camera...

L'unico motivo di questi giorni per sorridere, politicamente parlando, è gustarsi Fini che si scanna con Belpietro. L'avreste mai detto, solo qualche settimana fa, che il leader di An avrebbe potuto sottolineare, davanti al diretto interessato, che "il direttore di Panorama deve rendere conto al suo editore"? Siamo alla follia...

Enigmi

Giornata faticosa, di quelle che vorresti veder finire più presto che puoi. Salgo in macchina, dopo aver intervistato una fanciulla che mi saluta con un "buonasera" (risposta obbligata: "ho venticinque anni, dimmi ciao..."). Nemmeno i suoi splendidi occhi verdi alleviano la stanchezza, ergo ci vuole una terapia d'urto. Tolgo il cd, ne metto un altro. Vado sul sicuro. "The dark side of the moon", scorro rapidamente fino alla quinta traccia. Parte "The great gig in the sky" e mentre i nervi si sciolgono penso a quelle poche frasi che danno l'avvio al pezzo. Non ci ho mai dato peso. Ho fatto male.

"I'm not frightened of dying, anytime will do, I don't mind... Why should I be frightened of dying? There's no reason for it, you gotta go sometime"

"I never said I was afraid of dying"


«Il 21 gennaio 1973 venni invitata allo studio 3 di Abbey Road. A malapena avevo sentito parlare dei Pink Floyd. La canzone che dovevo eseguire si sarebbe chiamata “The Great Gig In The Sky” e l’album - FORSE! - “The Dark Side Of The Moon”. La band mi fece sentire questa sequenza scritta dal tastierista Richard Wright. “Non cantare nulla”, mi dissero. “Improvvisa”. Immaginai la mia voce come una chitarra solista e mi sentii come una Gospel Mama. Dopo poche registrazioni il gruppo era soddisfatto e potei tornare a casa con la retribuzione che mi spettava. Era domenica e presi paga doppia: per tre ore di lavoro, 30 sterline […] A parte Gilmour, gli altri componenti della band sembravano terribilmente annoiati da tutta quella storia del disco. Mi dissi: “Questa registrazione non vedrà mai la luce!”»

Clare Torry continua a cantare.

Eccheppalle...

Alla ventimilionesima chiusura di un programma di Luttazzi, si spera almeno che al buon Daniele regalino un tostapane per il ragguardevole traguardo raggiunto. Già il fatto che fosse confinato in tarda serata (qualcuno ha giustamente asserito che in quella fascia ci vanno i porno) faceva presagire che la trasmissione non sarebbe stata per i fanatici del politically correct. Orario a parte, niente con Luttazzi lo è, punto che i direttoroni di La7 non hanno scoperto ieri. Sapevano tutto, sapevano tutti. Questo è Luttazzi. Se lo prendi sotto la tua ala te lo tieni, sennò non lo chiami proprio. Sedurlo e abbandonarlo dopo qualche settimana vuol dire equipararsi ai Landolfi di turno. Qualcuno non ha capito che, in un'emittente come La7, che dà spazio agli scarti "buoni" delle altre tv come Crozza, Paolini, volendo anche la Bignardi se non fosse per quell'intervista a Dell'Utri (Dariona che mi combini), in tutto questo poutpourri di personaggi ignorati dalle tv generaliste, l'anomalia non è Luttazzi, è Ferrara. A Berlusconi uno come "Giulianone" serve, perché gli permette di avere un punto di riferimento anche in un'emittente anarchica per la restante programmazione. Ce l'ha lì tutti i giorni, con il salvagente Armeni che fa da contraltare di sinistra senza essere tale (eloquente la battuta di Travaglio sul fatto che in "Otto e mezzo" Ritanna fa la parte del mezzo). I professoroni adesso si accalcano per definire una linea di rottura tra la satira e l'offesa, che secondo lor signori è stata valicata. Andassero a leggersi Petronio, i professori. Era tanti anni fa, lo so. Ma forse lo era anche la satira.

Vanity Gazzetta

Il problema dell'avere un blog è che ti sembra quasi obbligatorio passarci ogni giorno a lasciare un appunto. In realtà non lo è, non ci sono leggi a riguardo e dormo lo stesso la notte anche senza un post. Soprattutto, non si può avere qualcosa di intelligente da dire ogni giorno. E' per questo che faccio fatica a credere nella bontà della notizia a ogni costo. Non si può inventare ciò che non c'è, altrimenti si fa disinformazione. L'arte del "pompare" la notizia è ormai ai suoi minimi storici, effetto inversamente proporzionale alla massimizzazione della fregnaccia. Ci sono due ambiti nei quali il giornalismo può sguazzare tranquillamente nel torbido della falsità senza rischi legali di sorta: il gossip e il calciomercato. Detto che se di uno non me ne può fregare di meno e che dell'altro mi preoccupo solo quando capisco che c'è un fondo di verità, è quando le due cose si mischiano che comincio ad avere dei conati di vomito. Nel caso di seguito non c'è mercato (se non del gentil sesso), ma il rosa c'è e il calcio anche. La fregnaccia non so, chi è interessato lo vedrà. Riporto la notizia, tra parentesi trovate i commenti del sottoscritto. Dalle brevi di Gazzetta.it, lode a te o Rosea...

MADRID - Il nome di Maradona continua a essere legato a doppio filo con il calcio (non è uno scherzo, l'agenzia inizia veramente così. I più svegli tra voi si saranno già chiesti a quale altro sport o argomento dovrebbe essere legato Maradona, visto che è stato il miglior giocatore di calcio degli ultimi 40 anni). Questa volta a essere protagonista non e' solo Diego Armando ma anche la figlia Gianina, la piu' piccola del pibe de Oro. Secondo i giornali argentini la ragazza avrebbe intrecciato una relazione con Aguero, giovane stella argentina dell'Atletico Madrid (è sempre "Gazzetta.it", non è Vanity Fair, solo che il direttore della prima non si è ancora reso conto di aver cambiato testata). I due infatti sono stati fotografati piu' volti insieme. Diego Armando Maradona - si legge sul sito del quotidiano spagnolo Marca (sì, è lo stesso che da circa sei o sette eoni annuncia l'imminente passaggio di Kakà al Real Madrid, quindi la fonte è sicura come Gola Profonda) - ha reagito bene quando e' venuto a conoscenza del pettegolezzo. "Se mia figlia dovesse avere una storia con Aguero - ha commentato l'ex numero 10 del Napoli - l'unica cosa che potrei dire e' che se lei e' felice io sono felice per lei. Io non credo che avro' altri figli (e meno male, l'ultimo sta aspettando ancora gli alimenti) - ha continuato - ora penso che potrei diventare nonno. Un grande nonno (se diventa nonno come è stato padre di diego jr, Dio ce ne scampi. Di "grande" al momento è rimasta solo la coppa. Unendo la panza all'eventuale prossima maternità della figlia, potrebbe ancora vincere la coppa del nonno, tra i pochi trofei che gli mancano). Pero' e' presto, le mie due figlie hanno solo 20 e 18 anni" (eh, caro Diego. Il tempo delle mele è passato da un pezzo, tra un po' diventa nonna pure Sophie Marceu, altro che 18 e 20 anni...).

Piccolo particolare, in Argentina hanno altri cazzi a cui pensare rispetto a quelli di Gianina, visto che qualcuno ha appena spiegato come ha fatto il Perù nel '78 a perdere 6-0 una partita che, casualmente, doveva perdere... 6-0!

Le MIE squadre

Post per alcuni, non per tutti. Solo per quelli che amano certi sport. E' infatti una stagione assolutamente positiva per il Todisco tifoso, soprattutto guardando agli sport d'oltreoceano. Soprassediamo sull'Inter (c'è il sito apposito) e sull'Olimpia (non c'è il sito, ma stanno facendo oltremodo pena). Passo invece in rassegna le due squadre made in Usa, perché le loro fortune o sfighe sembrano andare di pari passo. Era infatti il 1995 quando gli Orlando Magic raggiungevano, guidati da Shaq e Penny, l'unica finale Nba della propria storia, chiusa con una sconfitta contro i Rockets di Hakeem The Dream e Clyde The Glide. Nello stesso anno, i Cowboys si aggiudicavano l'ultimo dei cinque SuperBowl attualmente in bacheca. Dopo quegli exploit, il vuoto. Adesso, la rinascita. Entrambe le squadre sono uscite di scena lo scorso anno al primo atto della post-season, dopo anni nei quali la stagione regolare sanciva anche il termine della stagione per le due franchigie. Stesso destino, diversi scenari, perché se i Magic sono stati sconfitti 4-0 dai più forti Pistons, Dallas ha mancato la vittoria nella wild card contro Seattle con un grossolano errore di Tony Romo, che non è riuscito a bloccare un pallone per il comodo field goal del sorpasso. La situazione, nella stagione in corso, è un po' più "simpatica", come direbbe Moratti.
-ORLANDO: alcuni definiscono la formazione di coach Van Gundy ancora un fuoco di paglia. Sarà, ma è comunque una striscia più lunga rispetto allo scorso anno, quella che Howard e compagni hanno messo a segno in queste prime battute di Nba. Quindici vittorie, quattro sole sconfitte, unica squadra assieme ai Cavs di Lebron a interrompere la serie vincente dei Boston Celtics. Solo Detroit, San Antonio e Phoenix (due volte) sono riusciti a sconfiggere i Magic. Stan Van Gundy ha costruito una macchina molto ben oliata nei meccanismi su entrambi i lati del campo, con un Dwight Howard eccezionale, in grado di sostenere da solo il peso dell'intero reparto lunghi. Bene anche Rashard Lewis, coperto d'oro dal gm Otis Smith e capace di rendere pericolosissima Orlando sul perimetro, sfruttando gli scarichi del compagno ma anche andando a cercare gloria in solitario sugli isolamenti. Benissimo Turkoglu, che ha beneficiato come nessun altro della vicinanza di Lewis e al quale Van Gundy ha affidato spesso il pallone anche nei momenti chiave dei match. Con il duttile Bogans e un Jameer Nelson tornato quasi ai livelli di un tempo, il quintetto è fatto. Per ora, nonostante minutaggi molto alti, i cinque stanno tenendo botta ma è chiaro che il vero problema dei Magic saranno le rotazioni. Per cautelarsi, Smith ha ceduto Ariza a LA assicurandosi le prestazioni di Evans e Cook. Sarebbe bello poter ammirare anche JJ Redick con una certa continuità, ma i problemi fisici del ragazzo di Duke non sembrano avere fine e il sospetto di essere di fronte a un nuovo caso Grant Hill è più che fondato. Speriamo di no, intanto godiamoci questi Magic, figli lontani di Shaq e Penny, capaci anche ieri notte di vincere contro una squadra reduce da sei successi consecutivi (i Warriors di Belinelli, ancora in abiti civili). E c'è ancora spazio salariale, per cui l'anno prossimo prepariamoci a un nuovo colpo...
-DALLAS: negli ultimi anni avevo quasi smesso di seguire la Nfl. Ho ricominciato in parte la scorsa stagione, ma Drew Bledsoe non era il migliore degli spot per gente in cerca della propria identità da tifoso. A metà campionato è subentrato Tony Romo e tutto è cambiato. Personalità, un braccio straordinario, tanta inventiva, Romo ha ridato lustro al ruolo di quarterback a Dallas dopo alcune parentesi non pienamente convincenti e avvalendosi di Terrell Owens ha portato i Cowboys fino alla wild card. Poi il maledetto errore nelle battute conclusive della sfida contro Seattle e una nuova stagione piena di dubbi. Proprio a un giocatore di Orlando, giusto per allacciarmi al punto precedente, è capitato di non riprendersi più da un grave errore in una partita decisiva. Nick Anderson, l'uomo che aveva fermato Jordan e Miller nei playoff, diventò "Nick The Brick" dopo aver sbagliato quattro liberi in fila in gara 1 delle finali Nba contro Houston, sfida vinta dai Rockets e vero punto di svolta sia per l'esito delle finali stesse che per la carriera di Anderson, in forte ribasso negli anni a seguire. Romo, al contrario, si è ripresentato in questa stagione in forma smagliante e ha preso per mano Terrell Owens, potenzialmente il ricevitore più forte della lega, riportandolo alle statistiche di qualche anno fa. I due formano, assieme a Brady e Moss di New England, il miglior asse quarterback-ricevitore della Nfl: Romo ha siglato 33 td pass, 14 per il solo Owens, a caccia del record stabilito dal leggendario Jerry Rice (19 td in una sola stagione). A completare la squadra offensiva dei texani Marion Barber, 7 td e 796 yards corse in stagione, e Jason Witten, tight end con una grande capacità di ricezione. Il tutto con Terry Glenn in lista infortunati dall'inizio della stagione. Per ora i Patriots sembrano ancora un gradino più in alto, non è un caso che l'unica sconfitta stagionale di Dallas sia arrivata proprio contro New England, unica imbattuta della Nfl. Le due formazioni potrebbero incontrarsi al SuperBowl, vista anche l'ultima vittoria dei Cowboys contro Green Bay (se da qui alla fine non perdono, Romo e compagni giocheranno tutti i playoff con il fattore campo a favore). Sognare non costa nulla.

P.s.: non c'entra niente, ma ho cambiato il video di Guzzanti. Lui c'è ancora, le vesti sono diverse...