Il derby perfetto
A chi per una settimana ci ha fatto credere che avevamo un campionato. Pie illusioni, ha sentenziato il campo, che quando c'è stato da marcare una linea tra noi e il resto del mondo i veri valori si sono fatti vedere. Per 25' come per i restanti, vissuti in trincea e con il coltello tra i denti. Brutti, sporchi e cattivi, ma con l'astuzia del cobra che morde al momento giusto, tanto che pure in inferiorità numerica sono arrivati un palo, il 2-0 e una clamorosa occasione per Maicon (e dagliela a Mario che faccio tre punti al Fantacalcio...). E poi Mou che aizza la Curva contro le noie del freddo, abituato al calore degli stadi britannici non gli par vero che non ci sia l'inferno ad accompagnare la caduta del Diavolo. Lo scatena e poi chiede cori per chi corre sul rettangolo di gioco, indovina la chiave tattica dalla prima all'ultima mossa, potendo contare su un giovane trentaseienne che ingabbia Ronaldinho nella confusione delle sue danze. La ciliegina la mette Julio, il numero 12, quello che lo speaker può chiamare in causa solo all'inizio, perché Toldo a parte nessuno è riuscito a segnare a San Siro con i guantoni alle mani e anche in quel caso l'ultimo a toccarla era stato Vieri. Quel rigore respinto vale come e più di un gol, con cinque minuti di recupero ancora da giocare. Il popolo ringrazia tre volte, il numero perfetto. Perché questo è il derby perfetto e nel campo di battaglia ogni truppa ha il suo condottiero, pugno alzato al cielo e compagni di ventura che lo assistono trionfanti. Julio Cesar come una Marianne di Delacroix. L'Inter come la classe operaia. In paradiso, con tante scuse a Gian Maria Volontè.
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