Il sottile confine tra il giorno e la notte

Ho appena scoperto il confine che divide il giorno dalla notte. Da bimbo, quando le distinzioni spuntavano senza andarle a cercare e le ore piccole iniziavano semplicemente con il buio, scindere il sonno dalla veglia era un processo naturale, come alimentarsi o fare pipì. Per me la notte era il momento in cui si smetteva di pensare. Lo spegnimento delle luci, naturali e artificiali, corrispondeva con la scritta "off" ben impressa nel mio cervello. Dormivo, dormivo finché potevo e quando mia madre mi veniva a svegliare facevo finta di dormire ancora.

Adesso i margini si sono decisamene offuscati. Per me la notte è il momento in cui non ho voglia di fermarmi, se non quando sto per crollare. E' la raccolta dei sogni sviluppati nel corso del giorno, sotto pioggia e sole, mentre faccio fagotto dei pensieri in fuga. Ingiustizia vuole che tutte le idee, o le migliori ispirazioni da giornalista-scrittore, mi vengano proprio quando sono sdraiato sul letto, senza un foglio o una penna a portata di mano. Come una puttana con la valigia, al mattino ogni desiderio elaborato in maniera un po' originale è scappato dalle lenzuola, lasciando il suo amante occasionale con una sigaretta da orgasmo una tantum.

Ecco perché la notte ha un inizio incerto, sebbene arrivi sempre, e una fine che può variare d'orario ma corrisponde scientemente al rimettersi in piedi. Quanto tale operazione sia dolce o meno, dipende da quello che ricordi delle ore precedenti e da quello che sai sul futuro. Nessun risveglio, però, ha un sapore migliore di quello che lascia una donna sulle labbra quando apri gli occhi.

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