Sud

Non so dire fino in fondo che cos'è. E' una carcassa di passato informe, fatto di fango che si è seccato, come sciolto dai passi pesanti. Sto cavalcando stretto tra le gobbe di un cammello, lasciato alla deriva nel vuoto del deserto, con il sole allo zenit e l'inconscio a rappresentare l'unica parte di me in qualche modo sveglia. Dormiente, con la testa a penzoloni e le braccia che quasi strusciano a terra, il sangue al cervello. Troppo. Il passo stanco del cammello si ripete con un battito regolare, cadenzato dai rumori del silenzio. Tutto sommato sono nella miglior situazione possibile. Alla deriva, senza saperlo. Con i rintocchi delle campane che scandiscono la mia gioventù, nel mare di un mondo che mi porta a spasso come vuole, in carrozza o legato a due funi mentre trasporto il peso del mio pensiero sul risciò. Vado come un treno, urlo, mi sgolo per cercare un angolo di futuro in equilibrio meno precario. E mi rimane solo questa parola. Precario. Come l'equilibrio di cui sopra, come la società, come le ore contate di chi ha sorriso troppo poco. Mi resta un gemito, la mia scrittura. In un mondo che spero tanto non esista più un attimo dopo. Mi volto, mi rigiro di nuovo. La terra è sempre qui. Stuprata dai miei simili. “Il lavoro cazzo, la casa!”. Quel film si chiamava Sud. Casa mia si chiama Sud. Ogni tanto ho bisogno di ricordarmelo...

2 commenti:

Stefano ha detto...

E pensare che "Sud" rimane uno dei miei preferiti di Salvatores anche a distanza di tanto tempo...

Mattia Todisco ha detto...

Gran film, anche se l'ho visto talmente tanto tempo fa che neanche me lo ricordo più...